dalla prima di Messaggio d’Oggi
C’è una grande assente, nel dibattito politico e parlamentare. Oltre alla cultura, questa sconosciuta, è la “gioventù” che si inabissa con sempre più evidenza nei mari profondi del mediterraneo patrigno.
Funziona solo, se ben condito di retorica democratica, il binomio giovani e lavoro. Nulla di più, nulla di meglio. Quasi che il dramma, non più semplice questione, della generazione perduta sia ascrivibile alla sola busta paga in bianco.
La semplificazione, si sa, è figlia della crisi. Ovviamente della crisi di idee. Perché invece questa generazione verde, e al verde, lontana dalla resistenza e figlia dello sgretolamento ideologico della banana republic, di idee ne ha eccome.
Altra semplificazione coatta tanto cara alla politica è la bolla d’aria delle eccellenze made in Italy. Ne abbiamo parecchi di talenti, cari signori poltronati, ma nulla hanno a che fare con il buonismo delle ricette che salvano il paese. Siamo, come tutti, un paese di meraviglie, di infinite bassezze e di parecchie mezze calzette. Ma senza coraggio, senza slancio, con troppi padri buoni e pochi padri onesti. Parlare di giovani significa parlare di tutti, cari miei. Senza demagogia.
Quando, la scorsa settimana, ho portato AL MIO PAESE nelle scuole di Ariano Iripino, per il festival “A parole tue”, ideato da Jean Pierre El Kozeh per volontà illuminata dell’Assessore Giuliana Franciosa, ne ho avuto la prova provata. Ancora, e ancora. I ragazzi sono parecchio migliori di come li vorremmo. Anzi, di come li vorrebbero i genitori della semplificazione al ribasso. Sarebbe comodo riversare sulla generazione della presunta indifferenza il destino di un’Italia sbandata e sbadata che ha perso il tempo migliore. Quello dell’investimento.
Per la prima volta, dicono gli osservatori, i figli si trovano a ereditare un presente senza velleità di progresso, a gestire un passato recente mangiato dalla corruzione assunta a sistema, a combattere contro l’ignoranza sapendo di aver già perso. Chi scendeva in piazza, decenni fa, parlava di libertà e di diritti. E credeva di poter cambiare il mondo, almeno nell’illusione di farlo Oggi, che la piazza ha perso la sua vocazione di naturale, gli under 18 della terza repubblica sono frastornati, inghiottiti dall’iphone e silenziati da chi dovrebbe rappresentarli. Nessuno che parli, con serietà, del loro avvenire
Parlare di futuro è roba da statisti. A noi, al massimo, spettano le larghe intese.
Ad Ariano, una platea di cinquecento faccette curiose aveva voglia di “conoscere”. Non scalpitava per andare via, non faceva spallucce alla denuncia dell’illegale sommerso, non guardava altrove. Si interrogava con dignità.
E, pochi giorni dopo, quando per il lavoro laborioso condotto dalla sapiente Annalisa De Mercurio con “Piccoli Maestri”, mi sono trovata di nuovo a portare Calvino tra i ragazzi (questa volta all’Alberghiero di Benevento), volevo piangere di felicità. Mi hanno detto che il libro del cuore è Fontamara. Per qualche secondo, ho stentato a credere parlassero del capolavoro di Ignazio Silone. Mi hanno chiesto di parlare di Pasolini. Per qualche secondo, ho pensato che il sacrificio dell’ultimo intellettuale italiano che si ricordi non è stato consumato invano.
Ho guardato dritta nella forza di ragazzi e ragazze che non si arrendono alla mediocrità.
E poi ho rivisto, ieri sera a Le Iene, le oche urlanti in discoteca a fotografare la Minetti. E i loro omologhi maschietti con la bava alla bocca.
Fine dell’incantesimo. Forse mi ero sbagliata a esultare. Ma è durato pochissimo. Mi sono vergognata di aver perso la fiducia, o meglio la certezza, guadagnata sul campo. No no, sono loro a sbagliare. Quelli che pensano che solo gli esemplari peggiori siano i veri figli d’Italia. Quelli che vanno intonando il requie. I molluschi ci sono e, anche loro, servono all’equilibrio dell’ecosistema. Ma la famosa gioventù è altra. È per bene. Ha bisogno di superare il muro di gomma che la separa dalla necessaria utopia. Ha bisogno che smettano di farle cadere addosso briciole di compassione o condanna. Ha bisogno di partecipare alla “torta”. Amara che sia. Ne sono convinta: il Presidente della Repubblica avrebbe dovuto includere tra i saggi almeno un giovanissimo. L’età è questione per i piccoli di spirito. Io pretendo un paese che guardi come mi hanno guardato i ragazzi che vogliono leggere Calvino.