La cosa peggiore delle biografie è il pronome personale: io. E se la grammatica aiuta, paventando la sovversiva elusione del soggetto, la realtà ti inchioda alla tua storia.
Le storie, nel tempo dell’anonimato virtuale, sono un atto rivoluzionario. Ecco perché ha ancora senso raccontare chi siamo.
Nelle mie vene scorre sangue del mezzogiorno più bello. Ci ho provato, ma non è blu: è sangue rosso femmina.
Beneventana, con il sapore del sud nell’anima, sono innamorata della meravigliosa narrabilità delle cose. Ho messo piede in una redazione a quattordici anni ho capito che non ne sarei più uscita. T(r)emo ogni volta che dico di fare la giornalista: oltre a un mestiere, è una ipotenusa di senso. Ho studiato Lettere alla Sapienza di Roma e portato per un po’ i neuroni a zonzo tra Roma, Napoli e Bruxelles. Ora gravito quasi sempre intorno alla Capitale, e in coda sul raccordo sogno una vita sulle spiagge del Messico. Mi sono occupata di un importante ufficio stampa politico-istituzionale presso il Parlamento Europeo e sono attualmente consulente per la comunicazione e le politiche editoriali del Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia.
Aggrappata all’eterno fascino della carta stampata, ho scritto anche per la tv.
Dopo refusi, teatro e letteratura vengono solo i miei boccoli platinati.